Se l’usanza di recarsi presso i luoghi santi in compimento di un voto o per ottenere un bene sperato, è una realtà radicata in tutte le tradizioni spirituali, per l’Induismo l’appuntamento sacro più importante è senza dubbio il Kumbh Mela, che si celebra ogni tre anni a rotazione in quattro città differenti: Allahabad, Haridwar, Ujjain e Nashik. Il fine del Kumbh Mela è liberarsi dai condizionamenti della vita terrena e purificarsi attraverso “il bagno” nel fiume sacro, interrompendo così il ciclo della reincarnazione. Per chi ama l’India e la fotografia è un evento irrinunciabile, l’occasione per documentare una moltitudine umana che non ha eguali, un turbine di volti e colori, la folla che si getta nelle acque sacre in un’atmosfera permeata da una profonda spiritualità, come ci racconta il fotografo marchigiano Vincenzo Rossi, autore insieme a Riccardo Melzi ed Enzo Priore di un reportage sul tema che poi è diventato una mostra a Bergamo: The Human Roar (a cura di Intercultura).

A quando risalgono i tuoi scatti sul Kumbh Mela?
Era il 2013 quando ho avuto la fortuna di partire per l’India in concomitanza con il Maha (grande) Kumbh Mela, che si teneva presso la città di Allahabad. I dati del sito ufficiale dell’evento parlano di una partecipazione di circa 120 milioni di pellegrini per l’edizione 2013, con una punta di 35 milioni il 10 febbraio, il giorno del silenzio (Mauni Amavasya) dedicato al bagno reale.
Qual era l’atmosfera di quei giorni?
È un’esperienza che cambia di continuo. Si convive con una folla sterminata che si stende a perdita d’occhio su tutto l’orizzonte, a momenti sembra di essere dentro il giorno del giudizio, costantemente immersi in un vociare incessante. In altri momenti la situazione è più rilassata: un alternarsi gioioso di preghiere, canti e balli. E tuttavia impressiona la serenità con cui i pellegrini vivono in questa estrema promiscuità:pur essendo svariati milioni in un’area molto ristretta, sono sempre composti, tranquilli, anche felici. L’evento è gestito dal governo indiano e i numeri sono impressionanti: nel 2013 erano stati predisposti oltre150 chilometri di passerelle metalliche e altrettanti di rete elettrica. In più erano state costruite decine di milioni di Pandal, le grandi tende per gli incontri spirituali, e ancora tende per abitazioni da campo, i bagni, centinaia di cucine, mercati interni, centri di pronto soccorso e tanto altro.
Che cos’era in tutta questa im-mensità a catturare il tuo sguardo di fotografo?
Quello che colpisce è prima di tutto l’incredibile quantità e varietà dei volti dell’India, volti che hanno nella bellezza e nell’espressività un tratto comune. E poi la spiritualità, perché nei giorni del Kumbh Mela c’è la possibilità di entrare nelle tende dei grandi maestri, di persone votate all’ascesi fin dalla nascita, per discutere con loro di filosofia e religione. Ad esempio con Riccardo Melzi ed Enzo Priore (gli altri due fotografi con cui ha firmato la mostra NdR), siamo entrati in contatto con un sadhu, un maestro, che ci ha invitato a partecipare alla parata del bagno reale camminando vicino al suo carro. Un vero privilegio, che ci ha consentito di vivere l’evento da protagonisti.
In questa situazione così magmatica, qual è l’apice del raccoglimento?
Senza dubbio l’abluzione, che poi è un momento molto veloce perché polizia e uomini rana sono pronti a spingerti via un attimo dopo che ti sei immerso, onde evitare che si formi la calca attorno alla riva. E tuttavia quel momento, in cui ognuno è da solo, coincide con la preghiera individuale e anche con la felicità di essere riusciti a bagnarsi nel fiume sacro.
Quale idea ti sei fatto del KumbhMela dopo averla vissuta?
Prima di partire pensavo che fosse espressione di un induismo estremo, invece trovandomi a viverla ho costatato che è qualcosa di molto sentito da tutta la popolazione, senza distinzione di casta. Poi un dettaglio: viaggiando in India è normale imbattersi in santoni o sedicenti guru che ti chiedono dei soldi per essere fotografati, invece quando sono arrivato al Kumbh Mela non ho incontrato nessuno che volesse farsi pagare. Erano tutti semplicemente disponibili.
Quale sensazione ti è rimasta addosso e soprattutto ci ritorneresti?
La sensazione è duplice: aver partecipato a qualcosa di unico, all’evento che riunisce più persone al mondo, insieme al benessere di esserne stato testimone attraverso la fotografia. E poi sì, ci ritornerei, vorrei documentare ancora meglio quella moltitudine umana che si riversa sulle rive del Gange per abbeverarsi a qualcosa di sacro.

BIO
Vincenzo Rossi ingegnere, vive e lavora tra Modena e Roma. Nel 2006 si avvicina alla fotografia spinto dalla passione per il viaggio e la scoperta di culture lontane. La religione e l’esperienza del sacro sono i suoi principali temi fotografici. Birmania, Ladakh ed Etio-pia gli ultimi luoghi visitati.
Mostre: Kumbh Mela – TeHuman Roar, Museo Storicodi Bergamo, 2013.
Intervista pubblicata su Kel 12 Circle magazine #01