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Chiudete gli occhi. E assaggiate con la lingua, con il naso, con il palato un goccio di vino. Vino cileno. E, in un solo sorso, assaporerete un mondo intero. Un mondo tutto racchiuso in un bicchiere, raccontato dal profumo intenso della sua terra, dei suoi fiori e dei suoi frutti, e dal colore vivo, rosso come il deserto di Atacama, il più arido del mondo, o bianco come i ghiacci della Patagonia. “Nettare degli dei, conforto dei mortali, il vino è una meravigliosa pozione che ha il potere di allontanare le preoccupazioni e di offrirci, anche solo per un istante, la visione del paradiso.” Così la scrittrice Isabel Allende – argentina di nascita, ma cilena d’adozione – descr[…]

Autore:Redazione

Episodio 11
Ce n’è una in ogni città dell’isola caraibica. Le Case de la Trova sono luoghi d’elezione per ascoltare musica dal vivo e sono le eredi dell’originale tradizione cubana dei trovadores.

di Fausta Filbier

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Fausta Filbier
Fausta Filbier, giornalista professionista e scrittrice, laurea in filosofia e studi in antropologia culturale, storia, geografia e politica internazionale, ha collaborato con alcuni dei più importanti giornali, televisioni e radio italiani. E’ stata redattore e poi caporedattore di mensili come Atlante (Istituto Geografico De Agostini), Gulliver, Style e Dove (Rcs), I viaggi del Sole (Il Sole 24 Ore). Ha scritto il libro Africa dagli occhi al cuore (Virginio Cremona Editore), progetto editoriale dedicato ai non vedenti, di cui ha pubblicato anche il podcast. Content creator per Kel 12, ha realizzato i podcast Frammenti di Viaggio.

Frammenti di Viaggio: il podcast

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Autore:Redazione

Episodio 10
In Serbia, nella regione della Raška, il monastero di Studenica è uno dei più ricchi capolavori medioevali della chiesa ortodossa. All’esterno, marmi bianchi; all’interno affreschi bizantini perfettamente conservati.

di Marco Patrioli

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Marco Patrioli
Dopo anni nel giornalismo, Marco Patrioli inizia a fare il tour leader, lascia l’Italia e da allora tutto quello che è transito e interim, diventa la sua prima casa. I grandi spazi tra Russia e Baltico, il Mar Caspio e i solchi arati dell’Uzbekistan: Io non cerco, trovo – scriveva Picasso, il cui magistero è sempre presente quando parte per una nuova meta. Vive da anni a Riga, ma frequenta assiduamente la Russia, l’Asia centrale (Uzbekistan e paesi limitrofi) il medio oriente (una consuetudine appassionata con l’Iran), e da qualche anno ha iniziato a frequentare con assiduità Namibia e Serbia. Ha scritto articoli per il Venerdì di Repubblica e due guide Lonely Planet: “Veneto” (2016) e “Belgrado e la Serbia” (2017).

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Autore:Redazione

 

L'Avana

 

L’ Avana. Ritratto di una città. di Lorenzo Pini

 

Gli odori invadono L’Avana: carburante grezzo, cibo fritto, frutta tropicale e tabacco si mischiano nelle strade affollate della capitale cubana. La luce è implacabile, così come i temporali che, nei mesi estivi, si abbattono sulla città. La storia e il clima sono stati in grado di produrre qualcosa di unico in questo angolo del Golfo del Messico. L’Avana fu un tempo splendente città coloniale e ricco porto[…]

Autore:Redazione

Episodio 9
Nel nord del Vietnam, un monumento ricorda una delle più sanguinose battaglie del Novecento. Proprio qui, nel 1954, iniziò la fine della presenza francese in Indocina.

di Giancarlo D’Anna

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Giancarlo D'Anna
Giancarlo D’Anna nasce a Fano e vive i primi anni della sua vita in una casa vicino all’imboccatura del porto dove navi, barche e pescherecci in partenza e in arrivo stuzzicano la sua curiosità e fantasia. Quella curiosità deve attendere numerosi anni prima di avere delle risposte. Sono tre mesi vissuti tra India, Nepal e Sri Lanka, zaino in spalla, a forgiare Giancarlo come viaggiatore. Tre mesi insufficienti a saziare la voglia di conoscere e scoprire luoghi lontani, religioni, genti e se stesso. Sarà il viaggio successivo, lungo oltre sette mesi, ancora una volta in India, Nepal ma anche in Tibet, Bangladesh, Thailandia per raggiungere poi Hong Kong per poi rientrare in treno in Italia con la Transmanciuriana, a far capire a Giancarlo che quello non era un semplice viaggio ma la sua vita. Così viaggiare da passione è diventato per decenni un lavoro appassionato. Quelle esperienze di viaggio, le sensazioni, le difficoltà, le esperienze, gli incontri vissuti in prima persona, in solitario, sono state fondamentali per poter passare ai viaggiatori che Giancarlo ha accompagnato e accompagna, quello spirito, quella cultura del viaggio indispensabili per apprezzare fino in fondo la più bella esperienza che si possa vivere al mondo: viaggiare.

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«Fino a pochi decenni fa noi eravamo Coloro che Scompaiono, un popolo di cosiddetti selvaggi a rischio di estinzione. Ora siamo rimasti soltanto ventimila. Eppure da qualche anno vedo segni che invitano a sperare, le cose per noi stanno finalmente cambiando in meglio». Così mi dice Hara Yoshiki, artigiano ma soprattutto rappresentante della comunità Ainu di questo villaggio, che si trova sulla seconda isola più grande del Giappone, la più settentrionale, la più spopolata, la più sconosciuta: Hokkaido per i giapponesi, Ezo per gli Ainu.

Già il nome del piccolo centro in cui siamo (Akan-ko Ainu Kotan) fa capire che ci troviamo in un universo culturale differente dal resto del Giappone. Decifriamo dunque questo nome, che è in lingua Ainu: Kotan significa Villaggio; Ainu significa Umani, come chiamano se stessi gli aborigeni abitanti qui da millenni; Ko significa Lago; Akan è la località. Dunque ci troviamo nel Villaggio degli Umani del Lago Akan. È un puntino avvolto dal candido silenzio della neve sulle colline e sui monti circostanti. Il villaggio Akan si affaccia sull’omonimo lago che è totalmente coperto di ghiaccio, un lenzuolo di candore perfetto, interrotto solo dai vivaci colori delle tende dei pescatori, intenti a buttare l’amo in un buco nel ghiaccio.

Ezo/Hokkaido è una terra dove la Natura domina trionfante e gli umani sono soltanto ospiti, cortesemente tollerati dalle volpi, dalle aquile, dai cigni selvatici, dalle gru, dalle foreste che coprono il 60% del territorio, dagli Spiriti dei vulcani e dei fiumi. Quegli Spiriti che abitano e rendono sacra ogni cosa – montagne, laghi, alberi, animali – e che gli Ainu chiamano Kamuy. Ovvio che gli Ainu si siano sempre inchinati davanti al grandioso spettacolo di una natura non addomesticata dall’uomo, ovvio che la loro religione sia un animismo naturalistico. Che per certi aspetti ricorda lo Shintoismo giapponese, una religione della natura dove gli spiriti si chiamano Kami e vivono in ogni cosa.

La civiltà degli Ainu iniziò a fiorire, secondo alcuni storici, nel 12°-13° secolo d.C., ma i loro antenati erano arrivati in Ezo/Hokkaido moltissimo tempo prima, fra il ventimila e il diecimila a.C., durante l’ultima grande glaciazione del nostro pianeta, sfruttando un “ponte” di ghiaccio e terra che allora esisteva fra la penisola della Kamcatka e l’attuale Hokkaido. In Kamcatka e in certi luoghi della Siberia orientale esistono tuttora, del resto, piccoli gruppi etnici per vari aspetti simili agli Ainu. Per molti secoli gli Ainu vissero in un rapporto simbiotico con la natura di Ezo, fino a quando (ma nessuno sa esattamente quando) cominciarono ad arrivare sull’isola i Wajin, termine cinese con cui gli Ainu indicavano i “colonizzatori”, cioè i giapponesi. Questi provenivano da un’altra grande isola del Giappone, lo Honshu, e cominciarono lentamente ma inesorabilmente a impadronirsi del territorio, finché sconfissero gli Ainu in battaglia nel 1669 e quello fu l’inizio della fine per il fiero popolo di cacciatori-pescatori-raccoglitori della terra di Ezo.

Quando poi iniziò, alla fine dell’800, il processo di modernizzazione del Giappone e della sua apertura al mondo, gli Ainu, così legati a uno stile di vita tradizionale, vennero considerati barbari, selvaggi, un popolo inferiore con una cultura decadente e destinata ad estinguersi. E scattò perfino il divieto di usare la lingua Ainu: i bambini Ainu a scuola potevano esprimersi e studiare soltanto in giapponese.

In realtà la cultura Ainu era (ed è) ricca di miti e riti, testi poetici, danze, musiche, artigianato ligneo e tessile. Però…nulla di ciò era scritto. Perché la lingua Ainu non ha una propria scrittura, e la trasmissione della cultura era soltanto orale. Questo ne determinò la fragilità, la vulnerabilità. Così dopo la Seconda Guerra Mondiale il Giappone in pieno boom economico non sapeva che farsene degli Ainu e delle loro tradizioni “strane” e inadatte alla modernità, come il culto dell’orso, animale sacro per eccellenza, al centro di un rito affascinante. Perciò gli Ainu furono emarginati. E disprezzati. E cominciarono a dimenticare la lingua e le tradizioni.

Fino a quando un uomo ricordò loro chi erano. Un antropologo, fotografo, esploratore, scrittore, che aveva vissuto fra gli Ainu per tre anni, dal 1938 al 1941, e che li aveva studiati e fotografati, aveva disegnato i loro abiti e i loro oggetti quotidiani, e aveva pubblicato articoli e libri sulla civiltà Ainu, salvandola da un lento e inesorabile oblìo. E in Hokkaido era tornato dopo la guerra mondiale, per approfondire e divulgare le proprie ricerche. «Noi aprimmo quei libri, ritrovammo oggetti e storie e riti che avevamo dimenticato, e così cominciammo a studiare la nostra stessa cultura, la nostra stessa lingua», mi spiega Hara Yoshiki, mentre mi porta verso un piccolo edificio nel Villaggio Akan. Sopra l’ingresso c’è scritto IKOR, che in lingua Ainu significa Tesoro. «Questo edificio è il nostro primo teatro: lì danziamo, suoniamo, cantiamo, trasmettiano il Tesoro della nostra storia. Il teatro è stato finanziato dallo Stato giapponese, che negli ultimi vent’anni ha del tutto cambiato politica verso di noi», sorride Hara Yoshiki. «Ma la nostra gratitudine eterna va a quello studioso che ha salvato la memoria della nostra cultura mentre stava scomparendo. Quello studioso veniva dall’Italia, proprio come te. Lo sapevi?» conclude.

Ora è il mio turno sorridere. Fosco Sensei, lo chiamavamo. Sensei in giapponese significa Maestro e lui lo era. Il suo nome era Fosco Maraini, un uomo straordinario che ha fatto la storia delle relazioni fra l’Italia e l’Asia nel Ventesimo Secolo accanto a un uomo non meno straordinario di lui, Giuseppe Tucci. Due studiosi italiani di cui tutti dovremmo andare fieri. Ma la lunga e affascinante storia di Fosco Sensei ve la racconterò quando saremo insieme in Giappone, cari viaggiatori. Nell’attesa di quel momento, vi saluto al modo degli Ainu: «Irankarapte», che in lingua Ainu significa «Permettimi di toccare il tuo cuore» ma anche «Benvenuto».
Possa venire presto il giorno in cui la terra di Ezo toccherà il vostro cuore.


 

Ainu

 


Guarda la "Cartolina" di Kel 12 dedicata all'Hokkaido presentata da Marco Restelli

 

Correva l’anno 1431 e il veneziano Pietro Querini, mercante e navigante piuttosto intrepido, partito a bordo del vascello Querinia da Candia (Creta) con un carico di vino alla volta delle Fiandre, veniva sorpreso da due tempeste, una al largo di Capo Finisterrae e la seconda, quando era ormai alla deriva, ben oltre l’Irlanda. La scialuppa dei superstiti approdò su di uno scoglio sperduto che lo stesso Querini definì nel diario “in culo mundi”, dove si nutrirono di molluschi e accesero fuochi per scaldarsi. E bene fecero, perchè furono visti dalle barche di pescatori della vicina isola di Røst, nelle Lofoten, che li accudirono per quattro mesi. “Vivono in una dozzina di[…]

Autore:Redazione

La lettura

 

Archeologia dell’Asia centrale preislamica. Dall’età del Bronzo al IX secolo d.C. di Ciro Lo Muzio

L’Asia centrale è un territorio vasto e malnoto ai non specialisti, oggi diviso tra le repubbliche centroasiatiche dell’ex Unione Sovietica, ora indipendenti, e la provincia autonoma del Xinjiang, in Cina. Culla di barbarie e perpetua fonte di minacce nell’immaginario e nelle fonti storiche dell’Iran, dell’India e della Cina, l’Asia centrale è terreno di indagine arch[…]

Autore:Redazione

Episodio 8
Sembrano lenzuola al vento. Sono un deserto con migliaia di dune bianchissime e lagune colorate che, con le piogge, si riempiono di acqua. Per poi scomparire durante la stagione secca

di Giancarlo Meoni

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Giancarlo Meoni
Giancarlo Meoni inizia a viaggiare negli anni ‘80 e subito capisce che questa è la sua strada. Con una Laurea di Economia in tasca e il pallino per mete esotiche accompagna gruppi in giro per il mondo per oltre quindici anni. Nel 2001 incontra Maurizio Levi: inizia così un periodo tra Namibia, Botswana e Mongolia, come accompagnatore residente in estate, alternati ai mesi invernali in Sudan in qualità di guida. Nel 2007 si stabilisce a Milano alternando l’attività di accompagnamento a quella di programmazione viaggi, creando e sviluppando itinerari in Oriente, con particolare attenzione ai Festival soprattutto in India, Bhutan, Mongolia, Sri Lanka, Cina, Indocina e Filippine. Giancarlo è stato il primo ad approfondire l’area geografica dell’Asia Centrale, con spedizioni in Turkmenistan, Tajikistan, Kirghizistan, Kazakistan e Afghanistan e ha anche sviluppato la programmazione in Europa Orientale con Albania, Balcani meridionali, Serbia, Romania, Ucraina e Moldavia. Non manca inoltre la passione per il Centro Sud-America con la programmazione e l’accompagnamento in Brasile (soprattutto Nord-Est e Pantanal), Colombia, Venezuela…

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La Mongolia, paese di altopiani, steppe e deserti è terra più di viaggiatori che di turisti, visitarla è sempre stato molto complesso e ancor oggi, pur con tutte le aperture avvenute dopo i cambiamenti politici degli ultimi due decenni, che hanno reso di fatto completamente accessibile il paese ai visitatori stranieri, risulta sempre difficoltoso viag­giare al suo interno al punto che la Repubblica di Mongolia rimane tra i paesi più sconosciuti dell’Asia e forse uno dei luoghi più incontaminati del mondo, dove le tradizioni permeate di rituali sciamanici continuano a trasmettersi di generazione in generazione nel totale rispetto della loro terra  ed in armonia con la natur[…]