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Aree Geografiche
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Episodio 22
La loro identità? Gli uzbeki l’hanno trovata in quel gigante che campeggia in tante piazze, in quell’uomo con lo sguardo guerriero a capo di un impero che andava dal Mar Nero fino a Delhi. Il suo nome è Tamerlano, Timur-e Lang.

di Paolo Brovelli

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paolo brovelli
Paolo Brovelli è sempre in viaggio. E dato che non è mai riuscito a stare fermo, ha adattato la sua esistenza all’esplorazione e allo studio. Così, da una trentina d’anni alimenta la passione per avventure geografiche d’ogni tipo, con tanti amori, a seconda dei sentieri della vita: Europa, poi Asia centrale e meridionale, Africa, e America Latina, che ritorna spesso, con lunghi soggiorni in Brasile e in Messico, per molti anni divenuti casa sua. Traduttore di lingue imparate per mescolarsi al mondo, da tempo scrive articoli e libri di viaggio, perché era ora di restituire un po’ di quel che ha spremuto dal suo peregrinare. Lo stesso principio per cui si trova qui, su questo sito, in questo spazio. Trasmettere conoscenza ed esperienza con l’entusiasmo dell’amor del viaggio. Così, nel 2007 pubblica il suo primo libro, Sulle ali di un Ape, racconto della sua spedizione in Ape Piaggio lungo la Via della Seta, cui seguirà, nel 2014 il volume In viaggio con l’infame, sulle zone interne del Brasile. Del 2015 è il suo terzo lavoro, Dentro l’Africa… con le parole, il percorso impressionista di una tappa africana di un giro del mondo in auto, da Città del Capo (Sudafrica) a Malindi (Kenya). La sua ultima pubblicazione, del 2017, è Parole e polvere – Taccuini di strada: Eurasia, America, Africa. Perché viaggiare allunga la vita, dice lui, e le “ore del viaggiatore” valgono sette volte di più di quelle normali…

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Autore:Redazione

Episodio 20
Almeno una volta nella vita i musulmani, uomini e donne, devono andare in pellegrinaggio a La Mecca. Storia, riti e tradizioni di un viaggio mistico da cui si torna spiritualmente cambiati.

di Fulvio Cinquini

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cinquini
Fulvio Cinquini,  nato a Milano, è di origini tosco piemontesi. Dal 1977 lavora stabilmente come accompagnatore di viaggi culturali. Parallelamente ha collaborato come giornalista e fotografo di viaggi per riviste e giornali quali: Daily American, Dove vai, Dove, Marie Claire, Gulliver, Case Country, Gentleman, Airone, Stern, Geo France, Geo Corea, Geo Russia. Ha viaggiato a lungo nel sub continente Indiano, sud est asiatico, sulla Via della Seta, Asia Centrale, Cina, Africa orientale, America Latina, Iran, Medio Oriente, Usa. Ha vissuto in sud America: Argentina, Bolivia e Brasile. In qualità di etnoippologo ha studiato le società umane attraverso il cavallo in: Mongolia, Afghanistan, Tibet, Giappone, India, Pakistan, Etiopia, Camerun, Marocco, Siria, Turchia, Grecia, Spagna, Portogallo, Francia, Irlanda, Islanda, Gran Bretagna, Usa, Messico, Guatemala, Ecuador, Peru, Cile, Argentina, Bolivia, Brasile. Sempre come etnoippologo è autore del libro “Centaures” pubblicato in francese, inglese e tedesco e ha tenuto diverse conferenze e lezioni universitarie. Come fotografo ha esposto le sue opere a: Parigi, Strasburgo, Bruxelles, Washington, Los Angeles, Hong Kong. Tokyo, Mosca. Parla cinque lingue. Per lavoro e per scopi personali ha visitato fino ad ora 109 paesi.

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Autore:Redazione

 

Giappone

 

Tōkyō tutto l’anno
di Laura Imai Messina

 

«Tokyo sembra sempre in costruzione. Da bruco a farfalla, da farfalla a rondine, da rondine a sasso, da sasso a palazzo, da palazzo a bosco, da bosco a… È in uno stato di infanzia perenne, come una bambina che a guardarla non pare diversa, ma poi confrontandola con le fotografie – l’album aperto una domenica sulle ginocchia – emerge strabiliante nella differenza».
«La forma di una città cambi[…]

Autore:Redazione

 

Uzbekistan

 

L’ Uzbekistan di Alessandro Magno
di Vittorio Russo

 

Questo è il racconto di un viaggio narrato con sapienza verbale, dove si susseguono pagine di scintillante umorismo e indimenticabili passi di scrittura lirica. Un’avventura nel cuore dell’Asia con gli occhi fissi a inseguire le tracce di Alessandro Magno senza mai smettere però di osservare la realtà dell’Uzbekistan, Paese dalla storia bimillenaria colpevolmente trascurata in Occidente.

 […]

Autore:Redazione

 

India

 

La città della gioia
di Dominique Lapierre

 

Deluso e amareggiato sotto il profilo professionale, un giovane medico statunitense lascia il suo paese e va in India, alla ricerca di qualcosa che gli restituisca il senso dell’esistenza, intraprendendo un lungo viaggio dalla ricca America alle bidonville di Calcutta. La realtà che lo aspetta è però sconvolgente, un vero e proprio inferno di miseria e degradazione, nel quale gli uomini cercano di sopravvivere tra t[…]

 

Al viaggiatore in arrivo dalle fertili valli del Kashmir, Zanskar appare come un ambiente ostile con ben poco da offrire all’uomo: una distesa di montagne rocciose senza una valle al di sotto dei 3500 metri di quota, caratterizzata da estati aride ed inverni molto rigidi che toccano i -30°C. Tuttavia, così come l’essere umano è stato in grado di adattarsi a territori artici e desertici, allo stesso modo si è integrato in Zanskar, elaborando un complesso sistema di sussistenza su diversi livelli: sociale, agricolo e cosmologico.

 

Per alcuni è un posto dove soddisfare le proprie fantasie di avventura e caricare i brividi di adrenalina. Per altri è un’opportu[…]

Autore:Redazione

Episodio 9
Nel nord del Vietnam, un monumento ricorda una delle più sanguinose battaglie del Novecento. Proprio qui, nel 1954, iniziò la fine della presenza francese in Indocina.

di Giancarlo D’Anna

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Giancarlo D'Anna
Giancarlo D’Anna nasce a Fano e vive i primi anni della sua vita in una casa vicino all’imboccatura del porto dove navi, barche e pescherecci in partenza e in arrivo stuzzicano la sua curiosità e fantasia. Quella curiosità deve attendere numerosi anni prima di avere delle risposte. Sono tre mesi vissuti tra India, Nepal e Sri Lanka, zaino in spalla, a forgiare Giancarlo come viaggiatore. Tre mesi insufficienti a saziare la voglia di conoscere e scoprire luoghi lontani, religioni, genti e se stesso. Sarà il viaggio successivo, lungo oltre sette mesi, ancora una volta in India, Nepal ma anche in Tibet, Bangladesh, Thailandia per raggiungere poi Hong Kong per poi rientrare in treno in Italia con la Transmanciuriana, a far capire a Giancarlo che quello non era un semplice viaggio ma la sua vita. Così viaggiare da passione è diventato per decenni un lavoro appassionato. Quelle esperienze di viaggio, le sensazioni, le difficoltà, le esperienze, gli incontri vissuti in prima persona, in solitario, sono state fondamentali per poter passare ai viaggiatori che Giancarlo ha accompagnato e accompagna, quello spirito, quella cultura del viaggio indispensabili per apprezzare fino in fondo la più bella esperienza che si possa vivere al mondo: viaggiare.

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«Fino a pochi decenni fa noi eravamo Coloro che Scompaiono, un popolo di cosiddetti selvaggi a rischio di estinzione. Ora siamo rimasti soltanto ventimila. Eppure da qualche anno vedo segni che invitano a sperare, le cose per noi stanno finalmente cambiando in meglio». Così mi dice Hara Yoshiki, artigiano ma soprattutto rappresentante della comunità Ainu di questo villaggio, che si trova sulla seconda isola più grande del Giappone, la più settentrionale, la più spopolata, la più sconosciuta: Hokkaido per i giapponesi, Ezo per gli Ainu.

Già il nome del piccolo centro in cui siamo (Akan-ko Ainu Kotan) fa capire che ci troviamo in un universo culturale differente dal resto del Giappone. Decifriamo dunque questo nome, che è in lingua Ainu: Kotan significa Villaggio; Ainu significa Umani, come chiamano se stessi gli aborigeni abitanti qui da millenni; Ko significa Lago; Akan è la località. Dunque ci troviamo nel Villaggio degli Umani del Lago Akan. È un puntino avvolto dal candido silenzio della neve sulle colline e sui monti circostanti. Il villaggio Akan si affaccia sull’omonimo lago che è totalmente coperto di ghiaccio, un lenzuolo di candore perfetto, interrotto solo dai vivaci colori delle tende dei pescatori, intenti a buttare l’amo in un buco nel ghiaccio.

Ezo/Hokkaido è una terra dove la Natura domina trionfante e gli umani sono soltanto ospiti, cortesemente tollerati dalle volpi, dalle aquile, dai cigni selvatici, dalle gru, dalle foreste che coprono il 60% del territorio, dagli Spiriti dei vulcani e dei fiumi. Quegli Spiriti che abitano e rendono sacra ogni cosa – montagne, laghi, alberi, animali – e che gli Ainu chiamano Kamuy. Ovvio che gli Ainu si siano sempre inchinati davanti al grandioso spettacolo di una natura non addomesticata dall’uomo, ovvio che la loro religione sia un animismo naturalistico. Che per certi aspetti ricorda lo Shintoismo giapponese, una religione della natura dove gli spiriti si chiamano Kami e vivono in ogni cosa.

La civiltà degli Ainu iniziò a fiorire, secondo alcuni storici, nel 12°-13° secolo d.C., ma i loro antenati erano arrivati in Ezo/Hokkaido moltissimo tempo prima, fra il ventimila e il diecimila a.C., durante l’ultima grande glaciazione del nostro pianeta, sfruttando un “ponte” di ghiaccio e terra che allora esisteva fra la penisola della Kamcatka e l’attuale Hokkaido. In Kamcatka e in certi luoghi della Siberia orientale esistono tuttora, del resto, piccoli gruppi etnici per vari aspetti simili agli Ainu. Per molti secoli gli Ainu vissero in un rapporto simbiotico con la natura di Ezo, fino a quando (ma nessuno sa esattamente quando) cominciarono ad arrivare sull’isola i Wajin, termine cinese con cui gli Ainu indicavano i “colonizzatori”, cioè i giapponesi. Questi provenivano da un’altra grande isola del Giappone, lo Honshu, e cominciarono lentamente ma inesorabilmente a impadronirsi del territorio, finché sconfissero gli Ainu in battaglia nel 1669 e quello fu l’inizio della fine per il fiero popolo di cacciatori-pescatori-raccoglitori della terra di Ezo.

Quando poi iniziò, alla fine dell’800, il processo di modernizzazione del Giappone e della sua apertura al mondo, gli Ainu, così legati a uno stile di vita tradizionale, vennero considerati barbari, selvaggi, un popolo inferiore con una cultura decadente e destinata ad estinguersi. E scattò perfino il divieto di usare la lingua Ainu: i bambini Ainu a scuola potevano esprimersi e studiare soltanto in giapponese.

In realtà la cultura Ainu era (ed è) ricca di miti e riti, testi poetici, danze, musiche, artigianato ligneo e tessile. Però…nulla di ciò era scritto. Perché la lingua Ainu non ha una propria scrittura, e la trasmissione della cultura era soltanto orale. Questo ne determinò la fragilità, la vulnerabilità. Così dopo la Seconda Guerra Mondiale il Giappone in pieno boom economico non sapeva che farsene degli Ainu e delle loro tradizioni “strane” e inadatte alla modernità, come il culto dell’orso, animale sacro per eccellenza, al centro di un rito affascinante. Perciò gli Ainu furono emarginati. E disprezzati. E cominciarono a dimenticare la lingua e le tradizioni.

Fino a quando un uomo ricordò loro chi erano. Un antropologo, fotografo, esploratore, scrittore, che aveva vissuto fra gli Ainu per tre anni, dal 1938 al 1941, e che li aveva studiati e fotografati, aveva disegnato i loro abiti e i loro oggetti quotidiani, e aveva pubblicato articoli e libri sulla civiltà Ainu, salvandola da un lento e inesorabile oblìo. E in Hokkaido era tornato dopo la guerra mondiale, per approfondire e divulgare le proprie ricerche. «Noi aprimmo quei libri, ritrovammo oggetti e storie e riti che avevamo dimenticato, e così cominciammo a studiare la nostra stessa cultura, la nostra stessa lingua», mi spiega Hara Yoshiki, mentre mi porta verso un piccolo edificio nel Villaggio Akan. Sopra l’ingresso c’è scritto IKOR, che in lingua Ainu significa Tesoro. «Questo edificio è il nostro primo teatro: lì danziamo, suoniamo, cantiamo, trasmettiano il Tesoro della nostra storia. Il teatro è stato finanziato dallo Stato giapponese, che negli ultimi vent’anni ha del tutto cambiato politica verso di noi», sorride Hara Yoshiki. «Ma la nostra gratitudine eterna va a quello studioso che ha salvato la memoria della nostra cultura mentre stava scomparendo. Quello studioso veniva dall’Italia, proprio come te. Lo sapevi?» conclude.

Ora è il mio turno sorridere. Fosco Sensei, lo chiamavamo. Sensei in giapponese significa Maestro e lui lo era. Il suo nome era Fosco Maraini, un uomo straordinario che ha fatto la storia delle relazioni fra l’Italia e l’Asia nel Ventesimo Secolo accanto a un uomo non meno straordinario di lui, Giuseppe Tucci. Due studiosi italiani di cui tutti dovremmo andare fieri. Ma la lunga e affascinante storia di Fosco Sensei ve la racconterò quando saremo insieme in Giappone, cari viaggiatori. Nell’attesa di quel momento, vi saluto al modo degli Ainu: «Irankarapte», che in lingua Ainu significa «Permettimi di toccare il tuo cuore» ma anche «Benvenuto».
Possa venire presto il giorno in cui la terra di Ezo toccherà il vostro cuore.


 

Ainu

 


Guarda la "Cartolina" di Kel 12 dedicata all'Hokkaido presentata da Marco Restelli

Autore:Redazione

La lettura

 

Archeologia dell’Asia centrale preislamica. Dall’età del Bronzo al IX secolo d.C. di Ciro Lo Muzio

L’Asia centrale è un territorio vasto e malnoto ai non specialisti, oggi diviso tra le repubbliche centroasiatiche dell’ex Unione Sovietica, ora indipendenti, e la provincia autonoma del Xinjiang, in Cina. Culla di barbarie e perpetua fonte di minacce nell’immaginario e nelle fonti storiche dell’Iran, dell’India e della Cina, l’Asia centrale è terreno di indagine arch[…]

 

La Mongolia, paese di altopiani, steppe e deserti è terra più di viaggiatori che di turisti, visitarla è sempre stato molto complesso e ancor oggi, pur con tutte le aperture avvenute dopo i cambiamenti politici degli ultimi due decenni, che hanno reso di fatto completamente accessibile il paese ai visitatori stranieri, risulta sempre difficoltoso viag­giare al suo interno al punto che la Repubblica di Mongolia rimane tra i paesi più sconosciuti dell’Asia e forse uno dei luoghi più incontaminati del mondo, dove le tradizioni permeate di rituali sciamanici continuano a trasmettersi di generazione in generazione nel totale rispetto della loro terra  ed in armonia con la natur[…]