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DIECI BUONI MOTIVI PER FARE UN VIAGGIO TRA SARAJEVO E BELGRADO

Di Bosnia e di Serbia, dei loro incantesimi e delle loro facce, ce ne sono a centinaia, ben più di dieci:  ma i Balcani ti insegnano presto ad affinare uno sguardo selettivo, a scegliere il tuo angolo privilegiato in questa alchimia unica di Oriente e Occidente. Strette tra un passato tormentato e un presente di promessa europea, queste terre rappresentano l’apoteosi del crogiolo continentale da cui veniamo: apoteosi di influenze e ricche di strati, la Serbia e la Bosnia saranno una continua. scoperta

I paesaggi mozzafiato
Sì, è vero che questa dell’agriturismo è diventata una moda, ma se di moda si parla, i Balcani occidentali sanno cucirti addosso ogni vestito su misura, e senza differenziare le collezioni primavera estate e autunno inverno. Prendi le grotte, profondissime e incastonate tra le alpi, spesso testimoni di insediamenti di età preistorica. Non dimenticare i villaggi, custodi delle memorie più toccanti della vita rurale: in particolare il villaggio in legno di Kustendorf, voluto dal regista Emir Kusturica e inizialmente allestito come set cinematografico per il film La vita è un miracolo. Oggi è lambito anche dal trenino di alta montagna Sargan Eight, che oltre al fascino vintage (fino al secolo scorso collegava Sarajevo alla Serbia) regala scorsi alpini unici. Infine concediti l’imponente bellezza di un canyon: a Uvac – Mileševk, dove nelle ore più quiete puoi ammirare anche il volo del rarissimo grifone, un rapace quasi scomparso.

Casa in legno tradizionale a Sirogojno, Serbia. Foto di Marco Patrioli

 

La diversità
Quella finalmente riconosciuta, e conquistata: perché non ci sono altri paesi, in Europa, che possono vantare un panorama tanto eterogeneo. Dalle atmosfere fin de siècle del nord della Serbia alle suggestioni di minareti secolari del Sangiaccato e di Sarajevo; dai monasteri ortodossi di ascendenza bizantina, al frastagliato arcipelago di lingue della regione autonoma della Vojovodina, in cui convivono serbi, ungheresi, croati, bosgnacchi, albanesi, rom, slovacchi, valacchi, rumeni.  E poi gli echi di mitteleuropa nei dintorni di Belgrado e la vertiginosa verticalità di Sarajevo, il bazar ottomano di Novi Pazar e i mercatini di strada in Sumadija, nel cuore della Serbia. Scandita di volta in volta dalle preghiera del muezzin o dalla solennità di una icona, la ricerca del sacro nei Balcani si affaccia tra più lievi piaceri: un caffè appena cotto sulla brace, un bicchiere di vino della Fruska Gora, un bagno nel torrente ghiacciato sulle Alpi dinariche.

Villaggio di Kusturica, Kustendorf, a Mokra Gora, Serbia. Foto di Marco Patrioli

L’architettura sacra
Tra Bosnia e Serbia ci si muove in un ginepraio di monasteri e moschee, una tale frequenza di fraseggi artistici e respiri di alta architettura ecclesiastica da far impallidire persino le più titolate città europee. E se non bastassero tutti i monasteri della Serbia, uno diverso dall’altro, c’è anche lo spettacolare tempio derviscio sufi  di Blagaj Tekke, nei pressi di Mostar. E di sicuro è impossibile non restare a bocca aperta davanti al complesso monasteriale di Sopocani, summa delle conoscenze della Scuola della Raška, nata sulle ceneri dei primi monasteri bizantini. E poi c’è Manasia, che per i suoi bastioni assomiglia a una fortezza più che a un luogo dello spirito. E a Sarajevo, dove proliferano le moschee – su tutte la Moschea di Gazi Husrev Beg, di piena tradizione ottomana – ma c’è anche un quartiere ebraico con la sua sinagoga del Tempio Vecchio.

Monastero di Studenica, in Serbia. Foto di Marco Patrioli

Conoscere lo spirito migliore della ex Jugoslavia (senza rimpianti)
Il principio di Pareto, tanto in voga tra gli economisti, afferma che circa il 20% delle cause provoca l’80% degli effetti: allo stesso modo l’arco di tempo in cui è esistita la Jugoslavia è decisamente minore del 20 per cento della storia balcanica, eppure ha determinato ben oltre l’ottanta per cento dell’identità di queste terre. Provare per credere. Assecondate i ritmi senza tempo dei tracciati rurali, come a Sirogoino, o perdete il senso dell’orientamento tra le vie del centro di Belgrado, o ancora sedetevi a mangiare in compagnia nelle prima taverna di strada: tutto concorrerà a restituire un mosaico in cui delle divisioni non c’è traccia alcuna.

Dettaglio pittorico del Monastero di Rača in Serbia. Foto di Marco Patrioli

Superare la storia più recente (senza amnesie)
Non è stato semplice essere uomini nei Balcani occidentali: chi ne è uscito porta su di sé cicatrici ancora aperte, che non si rimarginano nel corso di 25 anni. Paesi tormentati che sono stati palcoscenico di conflitti terminati nel 1995, con una ultima appendice nel 1999 quando la Nato ha aperto una guerra contro Milosevic. Eppure tutto questo ha lasciato spazio a una determinata volontà di rinnovamento: il turismo ha iniziato a riprendersi solo da pochi anni, e con immediato successo.  Se si ha paura della storia trascorsa non si viaggia. Né d’altra parte ci si innamora. I grandi viaggiatori e la poesia balcanica, quella celebrata nei romanzi di Andric, hanno un senso di coraggiosa rinascita in comune: se trasformi la storia in proiezioni ortogonali, gli hai tolto l’aria.

L’ospitalità balcanica
Prima di tutto, mettete in conto di bere spropositate quantità di caffeina (tra Serbia e Bosnia, il valore costante sarà proprio la caffeina) e di fermarvi a baciare tre volte (non due come per noi) qualunque nuovo conoscente di strada, e poi forse vi rimarrà anche un po’ di tempo per guardarvi intorno. Forse. Ma poco importa, qui l’ospitalità è parte del paesaggio: dovunque ti verrà offerta la rakija fatta in casa, e nelle realtà rurali anche un pezzo di formaggio, ancor di più se capiterete durante la ricorrrenza della Slava, quando tutta la famiglia festeggia il suo santo protettore. E ricordate: Drago mj ie ( felice di incontrarti)

Mangiare
In una kafana, in un bar, in un ristorante, in una taverna, in un salas (sorta di agriturismo versione serba). Su un tavolaccio in legno, all’aria aperta, in un salone art decò, alla bancarella di strada, a piedi nudi, in alta uniforme asburgica. Il cibo sarà sempre uno dei compimenti più riusciti di ogni viaggio tra Serbia e Bosnia, quasi fosse un dovere rituale: troverete cevapcici a tutto spiano (polpettine di carne di manzo), rostilj (carni alla griglia, solitamente un mix), e sopratutto tanto formaggio, specie nella sua declinazione locale, il cremoso kajmak. Sui dolci, dsdssd. Da bere, rigorosamente rakija.

Il Danubio
Scriveva Claudio Magris che il Danubio nasce sempre molto più in là. Più in là di qualcosa di indefinito: “Quel Danubio che c’è e che non c’è, che nasce da più parti e da più genitori”.  Dopo essere stato la strada percorsa dai crociati nel medioevo, oggi questo fiume – il più celebrato in Europa – taglia la Serbia senza sottometterla. Sembra più una presenza discreta: a Belgrado insieme alla Sava, l’altro fiume che attraversa la capitale, è il palcoscenico per la vita sociale, il relax e il più sfrenato romanticismo. A Novi Sad il Danubio lo osservi dall’alto della maestosa fortezza di Petrovaradin, storico baluardo difensivo più volte passato di mano, soprannominata la Gibilterra del Danubio, ma anche sdraiato sulla spiaggia Strand, quando in estate la vita si sposta al fresco sulle rive.

Parco Nazionale di Tara, al confine tra Serbia e Bosnia. Foto di Paolo Brovelli

I festival
Anche in questo caso, il trionfo dell’eterogeneità. Detto che il festival più celebre è anche quello più arduo, per chi si mette in viaggio: ovvero il festival musicale EXIT di Novi Sad, che coagula non solo una intera città ma un intero paese nella prima settimana di luglio (e considerate l’opportunità di essere travolti dalla marea umana proprio in quei giorni), ci sono altri festival che sono tra i più popolari del continente nel loro genere. Il Festival degli ottoni di Guča, per esempio, una cornucopia di trombe e tromboni, e un piccolo paese che diventa per cinque giorni campo aperto all’impossibile, anche numericamente (600.000 persone nelle ultime edizioni). E c’è persino il festival dei ciccioli di maiale, il più rusticano tra tutti i festival: si attinge direttamente da pentoloni, in un baccanale di grassi e musica che va avanti per giorni.

Balcani ponte di Mostar, foto Otarikkoc

I ponti più simbolici d’Europa
Il pittoresco ponte di Mostar,
 il ponte Pasa Sokolvic di Visegrad, il ponte Arcobaleno di Novi Sad. Sono solo tre tra i più celebri, e testimoniano che la la Serbia e la Bosnia sono i Paesi del sentimento collettivo, per lungo tempo collante della convivenza balcanica, anche quando bisogna ricostruire. Un ponte nei Balcani è sempre un raccordo invincibile, simbolo e segno di una convivenza. A Mostar lo Stari Most venne distrutTo dai mortai nel 1992, è a lungo rimasto in macerie sul fondale del fiume: oggi lo stupore inizia dalla diligente ricostruzione con gli stessi frammenti del ponte originario. A Novi Sad il presente ci racconta invece di un ponte Arcobaleno, che già nel nome e nel profilo, vuole lasciarsi alle spalle quell’ultimo spicchio di Novecento: si allunga sul Danubio davanti alla maestosa fortezza di Petrovaradin come un braccio teso al rinnovamento. E non è di certo un caso se il più celEbrato capolavoro della letteratura serbo bosniaca sia Il ponte sulla Drina, di Ivo Andrić – con al centro proprio il Pasa Sokolvic di Visegrad.

 

In apertura Banjska stena, nel parco nazionale di Tara, in Serbia. Foto di Marco Patrioli.